Le cronache degli ultimi mesi dimostrano quanti amministratori locali in Sardegna siano disponibili quasi a fare carte false pur di ospitare una squadra di serie A nella propria città. Dopo tante migrazioni annunciate, inseguite e perdute, ancora una volta il Cagliari si trova dinanzi a una situazione di grave incertezza e all’inizio del campionato è l’unica squadra italiana, forse d’Europa, ad essere stadiumless. E’vero che in un’ipotetica gerarchia delle problematiche questa non è la priorità massima per il capoluogo della Sardegna, ma è altrettanto vero che rinunciare a cuor leggero alla presenza di una compagine che disputa il massimo campionato è un atto scellerato.

Anzitutto per un fatto di immagine: il calcio era e resta uno dei massimi strumenti di comunicazione, con buona pace degli inventori di ghirigori, di Selle del Diavolo stilizzate (e ovviamente tinte di rosso per salutare con ossequio l’avvento della nuova amministrazione della città) e delle notti bianche (da qualche mese “colorate”, ma identiche nella sostanza e nei risultati).

In secondo luogo, poiché il calcio è anche impresa e lavoro, vorrei sottolineare che ogni partita, secondo quanto mi risulta, fa “muovere” tra i 250 e i 400 lavoratori. E’ un dato degno di considerazione e rispetto. Se poi aggiungiamo che il pubblico di solito mangia, beve, prende il caffè etc., credo che la misura della rinuncia e delle conseguenze che essa può avere per l’economia di una città risulti ancora più evidente.

La presenza dei rossoblu rappresenterebbe anche una garanzia sotto un altro punto di vista: quello urbanistico. La realizzazione di un nuovo stadio a Cagliari, a S. Elia e non in altre aree dove non si può fare, porrebbe fine agli appetiti degli speculatori che del quartiere avrebbero voluto fare un sol boccone nel 2008 con il piano presentato da Renato Soru, che prevedeva nell’ipotesi più ampia formulata dalla solita archistar d’importazione la colata di oltre 1 milione di metri cubi.

Perché uno stadio nuovo in città? Perché non va bene quello esistente? Lo stadio attuale è il classico esempio della situazione italiana: gli stadi del Bel Paese sono i più obsoleti e i meno frequentati d’Europa. Con buona pace delle vestali di Italia Nostra, che neppure sanno come si veda la partita del settore “I”, è un impianto inutilizzabile. Forse lo era all’epoca in cui l’alternativa era la radio, ma nell’era delle pay per view sarebbe difficile convincere intere famiglie a sostenere il costo dell’abbonamento per attraversare quattro ingressi, esporsi a vento e intemperie e vedere 22 “omini” da lontano. Si, da lontano: come ben sa chiunque sia andato allo stadio almeno 1 volta, le vecchie tribune sono assai distanti dal campo di gioco. Io sono andato in Curva Nord, primo anello originario e quando Provitali segnava dall’altre parte del campo esultavo solo perché vedevo quelli della Sud alzarsi in piedi, non certo perché avessi visto nitidamente il goal. Posso fornire ai nostri sedicenti intellettuali (in questo caso in conflitto di interessi perché tra loro è presente anche un noto oculista) un’ampia documentazione fotografica per esporla nel loro studio, girare le lenti sul naso del paziente e chiedergli il solito “meglio o peggio?”

Occorre un nuovo impianto adeguato alle esigenze della città, della squadra e dei tifosi. Poiché non vi sono risorse e poiché non sarebbe giusto spendere per un’opera di questo tipo, è giusto che il nuovo impianto sia realizzato con soldi privati e con un accordo tra l’imprenditore e l’amministrazione.

Il nuovo stadio potrebbe essere l’epicentro di quel “quartier generale dello sport” che è già formato (Pala-Coni, campo di calcio lungo il Terramaini, impianto “Santoru”, Esperia, campi di S. Elia, Campo Rossi, Amsicora, Palazzetto dello Sport, pista di pattinaggio etc. etc.), che è assurdo non considerare o voler “riscrivere” in maniera ideologica e sicuramente non adeguata agli interessi della città. E’invece una risorsa che potrebbe diventare un complesso organico, che potrebbe essere circondata dal verde, da percorsi per fare jogging e rappresentare il vero elemento di cucitura tra S. Elia e il resto della città. Al tempo stesso potrebbe essere un elemento di collegamento tra il parco di Molentargius e l’area Sella del Diavolo-Colle di S. Elia.

Nella scorsa consiliatura il Consiglio Comunale aveva approvato una mozione che impegnava la Giunta a realizzare il nuovo stadio, ma l’esecutivo non ha portato avanti quanto deliberato. Allo stato attuale le notizie sono tutt’altro che confrontanti: il rapporto contrattuale tra il Cagliari e il Comune è venuto meno o sta per venir meno e sul destino dell’impianto sembra essere calato un silenzio preoccupante. Gli amministratori locali “lungimiranti” e “disinteressati” che qualche anno fa parlavano di un valore inestimabile del S. Elia sono spariti, sicuramente non lo hanno affittato né al Barcellona né al Paris St. Germain né hanno partorito alcuna idea geniale per la valorizzazione dell’immobile. L’attuale amministrazione prima ha parlato di “struttura polivalente”, poi ha ipotizzato la cessione alle società sportive dilettantistiche (che dal punto di vista dei costi aumenterebbe il peso per le casse comunali senza alcun introito), poi ha accennato alla possibilità di realizzare alcune torri a ridosso dell’immobile. Quest’ultima ipotesi richiederebbe una variante urbanistica, che scatenerebbe nuovamente gli appetiti di cui sopra. La verità è che oggi la città ha perso la sua squadra e che si trova con un rudere a carico dei contribuenti. Non mi interessa l’aspetto politico, anche perché la situazione attuale e la somma di omissioni accumulate nel tempo, ma l’aspetto pratico: dove andrà a giocare il Cagliari? Qual è il futuro del S. Elia e del suo quartiere?

 

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